Ralph Waldo Emerson

Storia






Non vi è né grande né piccolo
per l'Anima che tutto crea:
e dov'essa arriva, lì sono le cose;
ed essa arriva in ogni luogo.

Io sono colui che possiede la sfera,
le sette stelle e l'anno solare,
la mano di Cesare e di Platone il cervello,
di Cristo Signore il cuore, e di Shakespeare la musica



Vi è una mente comune a tutti gli individui. Ognuno si immette in essa e in tutto ciò che è di essa. Chi una volta sia ammesso a un tale superiore diritto di ragione, si fa libero cittadino dell'intero dominio. Ciò che Platone ha pensato, anch'egli può pensarlo; ciò che un santo ha sentito, anch'egli può sentirlo; e tutto ciò che in qualsiasi tempo sia accaduto ad ogni uomo, egli può comprenderlo. Chi ha accesso a una tale universale mente, partecipa di tutto ciò che è stato e che può essere fatto, poiché è essa l'unico e sovrano elemento agente.

La storia non è che il resoconto delle opere di questa mente. Il suo genio è illustrato dall'intera serie dei giorni. Da nient'altro l'uomo può essere spiegato che sia di meno della sua stessa storia. Senza né affrettarsi né ristare, lo spirito umano procede fin dal principio incarnando ogni facoltà, pensiero ed emozione che ad esso appartiene, attraverso eventi appropriati. Ma sempre il pensiero precede il fatto; tutti i fatti della storia preesistono nella mente come leggi. Ogni legge, a sua volta, è
resa predominante dalle circostanze: e una per volta, perché a una sola di esse i limiti della natura assegnano il predominio. Un uomo è l'intera enciclopedia dei fatti. La creazione di mille foreste è contenuta in una sola ghianda, e l'Egitto, la Grecia, Roma, la Gallia, la Britannia, l'America sono celate già dentro il primo uomo. Epoche, guerre, regni, imperi, repubbliche, democrazie, sono semplicemente l'applicazione del suo multiforme spirito alla multiforme realtà del mondo.
Questa nostra mente ha scritto la storia, ed è essa anche quella che deve leggerla. La Sfinge deve infine sciogliere il suo enigma. Ma se la storia è tutta in un solo uomo, essa va tutta spiegata attraverso le esperienze del singolo individuo. Vi è un rapporto fra le ore della nostra vita e i secoli del tempo. Come l'aria che io respiro è tratta dai grandi depositi della natura e la luce che cade sul mio libro mi è offerta da una stella distante centinaia di milioni di miglia, e come il portamento del mio corpo dipende dall'equilibrio tra forze centrifughe e forze centripete, così le ore dovrebbero essere illuminate dalle epoche e le epoche spiegate dalle ore. Della mente universale ogni individuo è un'ulteriore incarnazione. Tutte le sue proprietà si ritrovano in lui. E ogni nuovo fatto nell'ambito delle personali esperienze di lui getta luce anche su quanto sia stato operato da grandi comunità umane; e le crisi nella sua vita si collegano con le crisi dell'intera società. Ogni rivoluzione fu dapprima un pensiero nella mente di un singolo uomo; e quando un identico pensiero s'accende nella mente di un altro uomo, ecco che diventa la chiave per spiegare quell'epoca. Ogni riforma fu dapprima un'opinione personale, e quando tornerà a essere un'opinione personale, risolverà il problema dell'epoca. Il fatto narrato deve corrispondere a qualcosa in me che sia credibile e intellegibile. Dobbiamo farci, mentre leggiamo, Greci, Romani, Turchi, sacerdoti e re, martiri e carnefici; dobbiamo collegare queste immagini con qualche realtà che sia nella nostra intima esperienza: altrimenti, non apprenderemo mai nulla, non riterremo nulla con esattezza. Ciò che accadde ad Asdrubale o a Cesare Borgia è un'esemplificazione dei poteri e dei pervertimenti della mente nell'identica misura in cui lo è ciò che è accaduto a noi. Ogni nuova legge, ogni nuovo movimento politico ha un significato per voi. Potreste mettervi dinanzi a ciascuna delle sue tavole e dire: «Sotto questa maschera si nasconde la stessa natura proteiforme». Questo rimedierebbe al difetto di un' eccessiva vicinanza a noi stessi, e collocherebbe le nostre azioni come in prospettiva; e come i vari granchi e arieti e scorpioni e bilance e acquari perdono la loro insignificanza non appena pendono di lassù come segni dello zodiaco, allo stesso modo io potrei avere di fronte a me i miei stessi difetti, e senza accalorarmene, nelle figure, distanti nel tempo, di un Salomone, di un Alcibiade e di un Catilina.1

È questa universale natura che dà valore a uomini e cose particolari. La vita umana, nella misura in cui la contiene in sé, è misteriosa e inviolabile, e noi la recingiamo e proteggiamo con leggi e sanzioni. Tutte le leggi derivano da qui la loro ultima ragione; tutte esprimono infine, più o meno distintamente, una qualche indicazione di questa suprema, illimitabile essenza. Anche i beni materiali hanno qualcosa dell'anima, coprono fatti spirituali, e istintivamente noi li proteggiamo subito con spade e leggi e vaste e complesse convenzioni. L'oscura consapevolezza di ciò è per noi la luce della nostra giornata, la richiesta delle richieste; e ci spinge a reclamare educazione, giustizia, carità; ed è il fondamento dell'amicizia, dell'amore, dell'eroismo, della magnificenza: tutte cose che appartengono ad atti di fiducia in sé stessi. È da rilevare come, involontariamente, assumiamo, nel leggere, quasi un atteggiamento di superiorità. La storia universale, i poeti, i romanzieri, nelle loro più efficaci rappresentazioni - nei grandi palazzi sacerdotali o imperiali, nei trionfi della volontà e del genio -, ovunque, non ci fanno mai perdere la nostra attenzione, non ci fanno mai sentire come intrusi e che tutto ciò sia per uomini a noi superiori; ma è vero anzi che in quelle grandiose situazioni ci sentiamo perfettamente come a casa nostra. Tutto quello che Shakespeare dice dei re, quella birba di ragazzo che se ne sta a leggere nel suo angolo avverte che è vero anche per lui. Ci sentiamo in perfetta consonanza con i grandi momenti della storia, con le grandi scoperte, le grandi resistenze, le grandi fortune: perché là una nuova legge è stata promulgata, un oceano è stato esplorato, una terra è stata scoperta,un buon colpo è stato assestato - e tutto ciò per noi, così come noi stessi in quelle stesse circostanze avremmo fatto o applaudito.

Lo stesso interesse proviamo per le condizioni sociali e per il carattere. Onoriamo i ricchi perché posseggono, esternamente, quella libertà, quel potere, quella raffinatezza che noi avvertiamo come elementi appropriati dell'uomo, appropriati a noi. In tal modo, tutto ciò che del saggio è stato detto sia dagli stoici che dai filosofi orientali e dai saggisti moderni, delinea perfettamente per ogni lettore tutto quello che egli stesso pensa, gli descrive il suo stesso non raggiunto, ma raggiungibile io. Ogni letteratura ci presenta l'ideale del saggio. Libri, monumenti, quadri, conversazioni sono come dei ritratti nei quali ognuno scopre quei lineamenti che egli stesso sta tracciando per sé. Silenziosi ed eloquenti, lo elogiano e gli si accostano, ed egli trova incitamenti ovunque si volga, quasi come delle personali allusioni. Chi dunque veramente aspira a qualcosa di superiore, non ha bisogno di cercare, in una conversazione, diretti e personali riferimenti elogiativi. Egli ode là l'encomio non di sé, ma - cosa a lui più gradita - di quella fermezza del carattere di cui va alla ricerca, in ogni parola che fa riferimento al carattere, e anzi in ogni altro fatto e circostanza: nel fiume che scorre e nel brusio del grano. Allora, la lode è contemplata, l'omaggio è offerto, l'amore fluisce, e tutto proviene dalla muta natura, dalle montagne intorno e dalle luci del firmamento.

Queste allusività, distillate, si direbbe, dal sonno e dalla notte, usiamole anche in pieno giorno. Occorre che si legga la storia in maniera attiva, non passivamente; tener presente che è la nostra vita che fa da testo, mentre i libri forniscono solo il commento. Costretta in tal modo, la Musa della storia pronunzierà allora oracoli che mai potrebbe offrire a chi non avesse rispetto di se stesso. Non m'aspetto che diventi buon lettore di storia chi pensasse che ciò che fu compiuto in un'epoca remota da uomini i cui nomi sono poi risuonati famosi abbia un più profondo significato di quello che egli stesso sta operando quest'oggi, in questo momento.

Il mondo esiste per l'educazione di ognuno di noi. Non vi è epoca, non vi è condizione della società e modo d'agire nella storia cui non corrisponda qualcosa della vita di ognuno. Ed è meraviglioso il modo in cui ogni cosa tende a condensare se stessa e ad offrire, ad ognuno, le sue proprie virtù. Ognuno dovrebbe rendersi conto del fatto che può rivivere l'intera storia nella sua propria vita. Basta che se ne stia seduto tranquillamente in casa e non tolleri di essere tiranneggiato da re o imperi, ma si convinca che egli è più grande di tutta la geografia e di tutto il governo del mondo; che deve trasferire il punto di vista, dal quale la storia viene generalmente letta, da Roma e da Atene e da Londra e spostarlo verso se stesso, senza mai smentire l'idea che è lui stesso il tribunale giudicante e che se l'Inghilterra o l'Egitto hanno qualcosa da dirgli, egli aprirà la discussione; altrimenti, se ne stiano lì zitti per sempre. Egli deve saper raggiungere e ritenere in se stesso quell'alta capacità di visione entro la quale gli eventi si aprono a manifestare il loro segreto significato, e storia e poesia diventano simili. La tendenza della mente, il proposito della natura si rivelano già nell'uso che intanto facciamo delle principali narrazioni storiche. Il tempo disperde per l'etere luminoso le solide angolature dei fatti. Non vi sono àncore, non vi è corda o steccato che valgano a far sì che un fatto resti esclusivamente un fatto. Babilonia, Troia, Tiro, la Palestina, e anche la Roma arcaica, stanno già passando nel dominio della leggenda. Il Giardino dell'Eden, il sole fermo su Gibeon2 sono, da allora, perenne fonte di poesia per tutte le nazioni. Chi si cura di sapere come andassero propriamente i fatti, dopo che ne abbiamo tratto una costellazione da appendere in cielo come insegna immortale? Londra, Parigi, New York devono percorrere la stessa strada. «Cos'è la storia» disse una volta Napoleone «se non una favola da tutti condivisa?» La nostra vita è impregnata di Egitto, 4i Grecia, di Gallia, d'Inghilterra, di Guerra, Colonizzazione, Chiesa, Tribunale e Commercio, come da tanti fiori e svariati ornamenti solenni e gai. Ma io non ne terrò conto più del necessario. Io credo nell'Eternità. Potrò trovare la Grecia, l'Asia, l'Italia, la Spagna e le Isole, il genio e il principio creativo di ciascuna e di tutte le epoche nella mia propria mente.

Veniamo continuamente in contatto con i più clamorosi fatti della storia nella nostra esperienza personale, e in tal modo li verifichiamo. Tutta la storia diventa soggettiva; in altri termini, non esiste, propriamente, la storia, esiste solo la biografia. Ogni mente deve conoscere l'intera lezione per sé - deve percorrere l'intero campo. Ciò che essa non vede, ciò che essa non vive, non riuscirà mai a conoscerlo. Ciò che un'epoca precedente compendiò in qualche sua formula o regola per un suo proprio ed esclusivo uso, non potrà più essere utilmente riverificato dalla nostra mente, a causa della barriera rappresentata da quella formula. In qualche maniera, in qualche altro tempo, la mente cercherà e troverà forme di compensazione per tale perdita rifacendo il lavoro da sé. Ferguson
3 scoprì in astronomia molte cose che erano state già da un pezzo conosciute nel passato. Tanto meglio per lui.

La storia dev'essere questo, o non è niente. Ogni legge che lo Stato promulga è sempre indicativa di qualcosa che è nella natura umana: ecco tutto. Dobbiamo essere noi a saper scorgere in noi stessi la ragione necessaria di ogni fatto; vedere come poteva e doveva essere. Ed è con questo atteggiamento che bisogna porsi di fronte ad ogni operazione pubblica e privata; dinanzi a un'orazione di Burke, dinanzi a una vittoria di Napoleone, a un martirio di Sir Thomas More, di Sidney, di Marmaduke Robinson;
4 di fronte a un regno del Terrore in Francia e di fronte a un'impiccagione di streghe a Salem;5 di fronte a un fanatico Risveglio religioso 6e al magnetismo animale a Parigi o a Providence. 7Pensiamo che sotto gli stessi influssi, dovremmo tutti esserne toccati allo stesso modo, e conseguire quindi gli stessi esiti; e il nostro scopo è quello di controllare con l'intelletto i nostri passi e cercare di portarci alla stessa altezza o alla stessa bassezza secondo quanto hanno fatto il nostro amico e il nostro vicino.

Ogni indagine nel passato, ogni più viva curiosità che tocchi le Piramidi, le città dissepolte, Stonehenge,
8i Cerchi dell'Ohio,9 il Messico, Menfi, è un ardente desiderio di scacciar via da noi questo prevaricante e capriccioso «là» o «allora», e d'introdurre al loro posto un «qui» e «ora». Belzoni 10scava e misura, tra le mummie e le piramidi di Tebe, finché non vede dissolversi ogni distinzione fra quelle opere colossali e se stesso. Solo quando ognuno si sarà reso chiaramente conto, sia in generale sia in dettaglio, del fatto che il tutto fu realizzato da persone assolutamente simili a lui, spinte come lui dalle stesse motivazioni e verso obiettivi per i quali egli stesso avrebbe potuto offrire il suo contributo, il problema sarà risolto; il suo pensiero vive, allora, lungo l'intero susseguirsi di templi, di sfingi e di ipogei, passa con piena soddisfazione attraverso tutta quella sequela, mentre tutto intanto ritorna a vivere nella nostra mente, è, cioè, ora.

Una cattedrale gotica sta lì a mostrarci che fu fatta e non fu fatta da noi. Fu opera dell'uomo, certamente, ma non la ritroviamo più nel nostro uomo d'oggi. Ma aderiamo pienamente alla storia del suo innalzarsi. Ci mettiamo al posto e nella condizione di chi l'edificò. Ci vengono alla mente gli abitatori della foresta, i primi templi, il prototipo originario, la tendenza a una decorazione più ricca col crescere della ricchezza sociale; e il pregio che acquista il legno con gli intagli aggiunti agli intagli, lì sopra l'intera montagna di pietra di una cattedrale.
Dopo che abbiamo ripercorso l'intero processo e aggiunto a tutto ciò la Chiesa cattolica con le sue croci, le sue musiche, le sue processioni, i suoi giorni dedicati ai Santi e il culto delle immagini, oh, allora ci sentiremo come se fossimo stati noi l'uomo che innalzò quella cattedrale; e ci saremo ben resi conto di come poteva e doveva esser fatta. Ne avremo la ragion sufficiente.

La differenza fra gli uomini è nel loro principio d'associazione. Alcuni classificano gli oggetti secondo colore, dimensioni e altre caratteristiche esteriori e accidentali; altri, invece, attraverso intrinseche similitudini, o secondo un rapporto di causa ed effetto. L'intelletto procede verso una più chiara visione delle cause, che trascura le differenze più superficiali. Per il poeta, per il filosofo, per il santo, tutte le cose sono familiari e sacre, tutti gli eventi sono proficui, tutti i giorni hanno una loro santità, tutti gli esseri sono divini. Perché l'occhio è fisso alla vita, e trascura il dettaglio. Ogni sostanza chimica, ogni pianta, ogni animale ci indica, nel suo crescere, sia l'unità della causa che la varietà delle apparenze
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Sorretti e circondati come siamo da questa natura che tutto crea, tenera e fluente come una nuvola o come l'aria, perché mai dovremmo comportarci da insopportabili pedanti e magnificare soltanto alcune forme? Perché dovremmo soltanto tener conto del fattore temporale, o dell'estensione, o della figura? L'anima non le conosce, e il genio, obbedendo alla sua legge, gioca con esse così come un bambino gioca con degli adulti barbuti o finanche dentro una chiesa. Il genio studia il pensiero causale, e nel profondissimo seno delle cose vede i raggi che partono da un'unica orbita e che poi divergono, prima di cadere, in diametri infiniti. Il genio tiene d'occhio la monade attraverso tutti i suoi travestimenti, mentre porta avanti la metempsicosi della natura. Il genio sa scoprire già nell'insetto, nel bruco, nella larva e nell'uovo i lineamenti costanti dell'individuo; e attraverso gli innumerevoli individui, vede la specie; e, attraverso la specie, il genere; e attraverso i generi, il prototipo fisso e fermo; e attraverso tutti i regni della vita organica, l'eterna unità. La natura è una nube mutevole che è sempre e non è mai la stessa. Essa infonde lo stesso pensiero in tutto un esercito di forme, così come il poeta compone venti favole aventi tutte una sola morale. Attraverso la durezza bruta della materia un sottile spirito piega al proprio volere tutte le cose. Il diamante si trasforma in tenera, ma precisa forma davanti ad esso, e mentre l'osservo, i suoi contorni e la sua strutturazione sono nuovamente muta-ti. Nulla è così fluttuante come la forma; e tuttavia essa non smentisce mai se stessa. Possiamo ancora distinguere nell'uomo segni e residui di quelli che ci appaiono come caratteri distintivi di servitù in razze ritenute inferiori; e tuttavia in lui essi amplificano la sua dignità e il suo decoro: così come vediamo in Io, nella tragedia di Eschilo, che trasmutata in giovenca offende la nostra immaginazione; ma come è diversa, poi, quando assumendo le sembianze di Iside, incontra in Egitto Osiride-Giove: ed è allora una donna bellissima che della sua metamorfosi non reca altra traccia che le corna lunate come splendido ornamento sulla sua fronte!11

L'identità della storia è giustamente intrinseca, così come giustamente estrinseca ne è la diversità. Vi è, alla superficie, un'infinita varietà; al centro, la causa è però semplice. In quanti atti di un uomo riconosciamo lo stesso carattere! Pensate per un momento alle fonti dalle quali provengono le nostre conoscenze per quanto riguarda il genio dei Greci. Abbiamo la storia civile di quel popolo, così come Erodoto, Tucidide, Senofonte e Plutarco ce l'hanno consegnata; un resoconto più che sufficiente per capire che genere di persone essi furono e che cosa essi fecero. Ne possediamo poi, si può dire, lo spirito nazionale espresso per noi nella loro letteratura, nell'epica e nella poesia lirica, nel dramma e nella filosofia: un completo campionario. Possediamo, inoltre, quello stesso spirito nella loro architettura: una bellezza che sembra essere quella della temperanza stessa, limitata alla linea retta e al quadrato - una geometria tradotta in pietra. Possediamo, ancora, quello spirito nella scultura, l'cago della bilancia dell'espressione», una moltitudine di forme nella più grande libertà di atteggiamenti, che mai infrangono, tuttavia, l'ideale serenità; simili a fedeli impegnati in una danza sacra davanti ai loro dei, che per quanto raffigurino sofferenze convulse e un mortale combattimento, mai oserebbero scompigliare le figurazioni e il decoro della loro danza. Cosicché, del genio di un popolo così rappresentativo noi possediamo una quadruplice illustrazione: e, stando alle apparenze, che cosa potrebbe esservi di più dissimile che un'ode di Pindaro, un centauro di marmo, il peristilio del Partenone e le ultime imprese di Focione?

Ognuno avrà osservato come vi siano volti e forme che, pur senza essere per nulla simili fra loro, producono tuttavia un effetto di uniformità in colui che li guarda. Un particolare quadro o una poesia, se anche non suscitano identiche concatenazioni d'immagini, desteranno tuttavia gli stessi sentimenti che può suggerire una passeggiata su per un'aspra montagna, benché la rassomiglianza non balzi evidente ai sensi, ma resti occulta e al di là di ogni razionale comprensione. La natura è un'incessante rifusione e ripetizione di pochissime leggi. Essa sussurra un vecchio e ben noto motivo attraverso innumerevoli variazioni.

In tutte le sue opere la natura imprime un suo sublime marchio di rassomiglianza familiare, e si diverte a sbalordirci con accostamenti per lo più del tutto inaspettati. Ho visto la testa di un vecchio sachem12 della foresta, che sembrava richiamare al mio occhio, lì per lì, una calva sommità di monte, mentre i solchi della fronte suggerivano le strisce e gli strati di una roccia. Vi sono persone le cui maniere sembrano emanare quello stesso essenziale splendore che ci viene dai rilievi, semplici e formidabili, dei fregi del Partenone e dei resti dell'arte greca più antica. E vi sono composizioni dello stesso tono che si possono ritrovare nei libri di ogni età. Che cos'è l'«Aurora Rospigliosi» di Guido Reni 13 se non un pensiero mattutino, e i suoi cavalli che altro sono se non una nuvola del mattino? Se qualcuno volesse solo prendersi la pena di osservare la varietà degli atteggiamenti verso cui più si sente incline, in certi suoi stati d'animo, e di quelli ai quali più è avverso, vedrebbe quanto sia profonda la catena delle affinità.

Una volta un pittore mi disse che nessuno potrebbe dipingere un albero senza diventare in qualche modo un albero; o ritrarre un fanciullo studiando solo i lineamenti esterni del viso: soltanto scrutando e spiando per un certo tempo i suoi moti e i suoi giochi, il pittore può veramente penetrare nella natura di quel fanciullo per poi ritrarlo, secondo il suo intendimento, nei suoi vari atteggiamenti. Così Roos «entrava nella più intima natura di una pecora». Conobbi un disegnatore, incaricato di una perizia pubblica, il quale sosteneva che non gli era possibile disegnare le rocce finché non gli fosse stata ben chiara la loro struttura geologica. In un certo atteggiarsi del pensiero è l'origine comune di opere tra loro molto diverse. È lo spirito che è identico, non il fatto. Ed è attraverso una più acuta percezione e non attraverso una più faticosa acquisizione di tutto un corredo di abilità manuali che l'artista consegue il potere di ridestare altre anime a una data attività.

È stato detto che «le anime comuni pagano con quel che fanno, e le anime più nobili con quel che sono». E perché? Perché una natura profonda ridesta in noi, con le azioni e le parole, e anzi solo con le sue maniere e le sue apparenze, lo stesso potere e la stessa bellezza che vengono in noi suscitate da un'intera galleria di statue e di quadri.

La storia civile, la storia naturale, la storia dell'arte e la storia della letteratura devono tutte essere spiegate partendo dalla storia individuale, o altrimenti sarebbero costrette a restar nient'altro che parole. Non vi è nulla che non debba essere rapportato a noi stessi, nulla che non interessi noi - regno, scuola, albero, cavallo o ferro di cavallo; le radici di tutte le cose sono nell'uomo. Santa Croce e la basilica di San Pietro sono le imperfette copie di un divino modello. La cattedrale di Strasburgo è la controparte materiale dell'anima di Erwin di Steinach. Il vero poema è la mente del poeta; la vera nave èil costruttore di navi. In ogni uomo, se potessimo aprirgli l'animo, potremmo leggere le ragioni dell'ultima fioritura, dell'ultimo filamento della sua opera; così come ogni nervatura e sfumatura in una conchiglia marina preesistono negli organi di secrezione del pesce. Tutta la sostanza dell'araldica e della cavalleria è nella cortesia. Un uomo di belle maniere pronuncerà già il nostro nome con tutti quegli ornamenti che i titoli nobiliari potrebbero sempre aggiungere.

La comune esperienza quotidiana è una continua verifica di qualche antica predizione che ci sia stata fatta, è come una conversione in cose di parole e di segni da noi uditi e veduti senza che vi facessimo attenzione. Una signora, in compagnia della quale cavalcavo nel bosco, mi diceva che le sembrava che i boschi stessero sempre come in attesa, quasi che i geni che in essi abitavano sospendessero ogni loro atto finché chi si trovava a passare non fosse andato oltre: un'idea che la poesia ha, del re-sto, celebrato nelle danze delle fate, danze che esse interrompono all'avvicinarsi di passi umani. Chi ha assistito all'irrompere della luna dalle nuvole di mezzanotte è stato presente, come un arcangelo, alla creazione della luce e del mondo. Ricordo che un giorno d'estate, stando fuori, in campagna, un amico mi indicò un'enorme nuvola che si estendeva per almeno un miglio parallelamente all'orizzonte, e aveva la forma perfetta di un che-rubino, quali li si dipinge nelle chiese: - una massa rotonda al centro, che era facile animare con due occhi e una bocca, sorretta ai due lati da grandi ali larghe e simmetriche Ciò che appare una volta nell'aria, può spesso apparire, e dev'essere stato, senza dubbio, l'archetipo di quel familiare ornamento. Ho visto in cielo un susseguirsi di lampi estivi, la qual cosa mi ha fatto immediatamente comprendere come i Greci si ispirarono alla natura quando posero il fulmine in mano a Giove. E ho visto un accumulo di neve lungo i lati di un muro di pietra che suggeriva subito l'idea dello zoccolo architettonico su cui poggia una torre.

Circondandoci delle circostanze originarie, inventiamo nuovamente gli ordini e le decorazioni dell'architettura, mentre vediamo con quanta semplicità ogni popolo adornava le sue primitive dimore. Il tempio dorico conserva le sembianze della capanna di legno in cui abitavano i Dori. La pagoda cinese è chiaramente una tenda tartara. I templi indiani e i templi egiziani ancora rivelano i tumuli e le sotterranee case degli antenati. «L'usanza di ricavare tombe e case dalla viva roccia» dice Heeren nelle sue Ricerche sugli Etiopi «determinò in modo naturale il carattere stesso dell'architettura nubio-egiziana, con tendenza verso quelle forme colossali che essa finì con l'assumere. In queste caverne già approntate dalla natura l'occhio era avvezzo a posarsi su gigantesche forme e masse, di modo che quando l'arte sopraggiunse ad aiutare la natura, essa non poté più muoversi su scala ridotta senza degradare se stessa. Quale significato avrebbero mai potuto avere delle statue di normali dimensioni, o portici e navate del tutto lineari accostati a quelle enormi sale dinanzi alle quali soltanto dei colossi potevano stare di guardia o poggiare sui pilastri all'interno?»

La chiesa gotica trasse origine, manifestamente, da un rude adattamento degli alberi della foresta, con l'intrico dei loro rami, in arcate solenni e fantomatiche; e così le strisce che girano intorno ai pilastri scanalati ancora ricordano i verdi viticci che li legavano. Nessuno può incamminarsi per una strada che attraversi una foresta di pini senza restare colpiti dall'aspetto architettonico della vegetazione, soprattutto d'inverno, quando la nudità di tutti gli altri alberi evidenzia il basso arco dei Sassoni. Stando dentro a un bosco, in un pomeriggio invernale, ognuno si renderà subito conto dell'origine delle vetrate istoriate che ornano le cattedrali gotiche, osservando i colori del cielo al tramonto attraverso l'intreccio dei rami nudi. E nessuno che ami la natura può mai entrare nei vecchi edifici di Oxford e nelle cattedrali inglesi senza avvertire che la foresta dominava i pensieri del costruttore e che il suo scalpello, la sua sega e la sua pialla ancora riproducevano felci, aculei, carrubi, olmi, querce, pini, abeti, lecci.

La cattedrale gotica è una fioritura in pietra, governata dall'insaziabile esigenza d'armonia che è nell'uomo. La montagna di granito sboccia in un eterno fiore, con la levità e la delicata rifinitezza e le aeree proporzioni e prospettive di una bellezza vegetale.
In tal modo, dunque, andrebbero individualizzati tutti i fatti di carattere pubblico e generalizzati tutti quelli di carattere personale. Ed è allora che la Storia diventa scorrevole e vera, e la Biografia profonda e sublime. Come i Persiani imitarono nelle loro agili colonnine e nei capitelli della loro architettura lo stelo e il fiore del loto e della palma, allo stesso modo la corte persiana non rinunciò mai completamente, neanche nel suo periodo più fastoso, al nomadismo delle sue tribù barbariche, e da Ecbatana si spostava, sul finire della primavera, a Susa per trascorrervi l'estate, e a Babilonia per l'inverno.

Nella più antica storia dell'Asia e dell'Africa, il nomadismo e l'agricoltura si presentano come fenomeni in antitesi fra loro. La geografia dell'Asia e dell'Africa esigeva una vita nomade. Ma i nomadi costituivano il terrore di tutti quelli che la fertilità del suolo e i vantaggi di un mercato avevano spinto a costruire le prime città. L'agricoltura fu pertanto una prescrizione religiosa, a causa dei pericoli che provenivano dal nomadismo. E in queste tarde e civili nazioni d'Inghilterra e d'America tali tendenze ancora combattono fra loro l'antica battaglia, sul piano sia nazionale che individuale. I nomadi dell'Africa erano costretti a vagabondare a causa degli assalti del tafano, che fa impazzire il bestiame e costringe così le tribù a emigrare nella stagione piovosa e a condurre il bestiame verso le regioni più alte e sabbiose. I nomadi dell'Asia seguono le pasture di mese in mese. In America e in Europa il nomadismo deriva dai commerci e dalla curiosità: un bel passo avanti, certamente, dal tafano dell'Astaboras
14 all'anglomania e all'italomania di Boston e dintorni! Città sacre, alle quali era d'obbligo fare periodici pellegrinaggi, o leggi severe e consuetudini tendenti a rinsaldare i vincoli associativi, erano un freno per quegli antichi vagabondaggi; e i vantaggi accumulati dopo una così lunga condizione di sedentarietà fanno ora da ostacolo al nuovo nomadismo dei nostri giorni. L'antagonismo fra le due tendenze è non meno attivo nei singoli individui, secondo che predomini in ognuno l'amore per l'avventura o quello per la vita tranquilla. Un individuo di buona costituzione fisica e di agili spiriti possiede una pronta capacità di adattamento, vive sul suo carro e viaggia attraverso tutte le latitudini con la stessa facilità di un Calmucco. Sul mare, o in una foresta o sotto la neve, egli dormirà tranquillamente, mangerà con buon appetito e se ne starà felicemente in compagnia né più né meno che se si trovasse accanto al suo caminetto. O forse una tale disponibilità è fondata, ancor più profondamente, sull'accresciuta quantità delle sue facoltà di osservazione, che gli offrono spunti d'interesse ovunque nuovi e freschi aspetti incontrino il suo sguardo. Le comunità pastorali erano bisognose di tutto e affamate fino alla disperazione; e questo nomadismo di oggi porta alla rovina le menti con la sua dissipazione di energie tese verso una troppo eterogenea quantità di oggetti. Lo spirito di chi preferisce starsene a casa è soddisfatto, d'altra parte, di quella sua continenza e contentezza che gli fa trovare nella sua propria terra tutti gli elementi di vita; ma anche ciò presenta i suoi rischi di monotonia e di deterioramento, se non intervengono stimoli e infusioni dall'esterno.

Ogni cosa che l'individuo vede senza di lui corrisponde ai suoi stati mentali, e ogni cosa diventa a sua volta per lui intelligibile dal momento in cui il procedere del suo pensiero lo conduce nella verità alla quale quel fatto o quella serie difatti appartengono.

Il mondo primordiale - o Mondo Originario, come dicono i Tedeschi - io potrei ritrovarlo tuffandomi in me stesso, oppure cercando a tastoni, con dita indagatrici, in catacombe, biblioteche, e fra i rilievi infranti e i resti di ville in rovina.

Qual è il fondamento dell'interesse che tutti avvertono per la storia greca, per la letteratura, per l'arte, per la poesia di ciascun periodo di quella storia, dall'età eroica e omerica, via via, fino al modo di vivere quotidiano degli Ateniesi e degli Spartani, quattro o cinque secoli più tardi? Quale se non questo: che ogni uomo passa, cioè, personalmente attraverso un suo periodo greco? La condizione greca è l'età della natura corporea, la perfezione dei sensi - della natura spirituale che si estrinseca in stretta unità con il corpo. Fu in essa che si affermarono quelle forme umane che fornirono agli scultori i modelli di Ercole, di Febo e di Giove; non come le forme di cui sovrabbondano le strade delle nostre città moderne, nelle quali il volto è una confusa macchia di lineamenti, ma forme dai purissimi lineamenti, simmetrici e rigorosamente definiti, con quelle orbite foggiate in modo che sarebbe impossibile, per occhi simili, lanciare sguardi di traverso e furtivamente da una parte o dall'altra: dovrebbe essere, a voltarsi, l'intera testa. I costumi sono, in tale periodo, lineari e fieri. Si onorano in pubblico le qualità personali: coraggio, destrezza, autocontrollo, giustizia, forza, agilità, una robusta voce, un largo torace. Non si conoscono il lusso e la raffinatezza. Una popolazione sparsa e la necessità fanno di ognuno il servo di se stesso, cuoco, macellaio e soldato, mentre la consuetudine di far fronte, direttamente, alle proprie necessità rende il corpo capace di mirabili prestazioni. Tali sono l'Agamennone e il Diomede di Omero, e non molto diverso è il quadro che Senofonte ci offre di se stesso e dei suoi commilitoni nella Ritirata dei Diecimila. «Dopo che l'esercito ebbe attraversato il fiume Telaboas, in Armenia, cadde molta neve, e i soldati giacevano prostrati, miseramente, sul suolo innevato. Ma Senofonte si levò nudo e, impugnata un'ascia, cominciò a spaccar legna: dopo di che tutti balzarono in piedi e fecero altrettanto.»15 Regna in questo suo esercito un'illimitata libertà di parola. I soldati litigano per il bottino, discutono con i generali a ogni nuovo ordine, e Senofonte ha una lingua tagliente come qualsiasi altro e anzi ancora più tagliente di quella della maggior parte, e così rende pan per focaccia. Chi non vede che questa è come una banda di ragazzoni, con gli stessi codici d'onore e la stessa rilassatezza nella disciplina che hanno appunto i ragazzoni?

Il prezioso incantesimo della tragedia antica e, certo, di tutta la letteratura antica è nel fatto che i protagonisti parlano con estrema naturalezza, come persone anzi che possiedono grande buon senso senza saperlo, prima che la riflessione sia diventata il predominante abito mentale. La nostra ammirazione per l'antichità non è ammirazione per il vecchio, ma per il naturale. I Greci non sono ancora riflessivi, ma perfetti nei loro sensi e nella loro sanità, con la più perfetta organicità fisica che mai si sia vista al mondo. Gli adulti operavano con la semplicità e la grazia dei fanciulli. Facevano vasi, tragedie, statue come possono farle uomini dai sensi sanissimi - cioè con buon gusto. Tali cose si è continuato a farle, e in tutte le età, e ancora si fanno, dovunque esista un senso di sanità fisica; ma essi, i Greci, hanno superato tutti gli altri per la loro superiore organicità. Essi riescono a fondere insieme l'energia dell'età adulta con l'accattivante in-consapevolezza della fanciullezza. E il fascino di una tale esperienza è che essa appartiene all'uomo e che è riconoscibile, quindi, per ogni uomo proprio in virtù del fatto che ognuno è una volta fanciullo; senza dire che vi è sempre chi continua a conservare tali caratteristiche. Una persona di fanciullesco genio e di innata energia è ancora un Greco, e riaccende in noi l'amore per le Muse dell'Ellade. Io ammiro l'amore per la natura nel Filottete.
16 Nel leggere quelle bellissime apostrofi al sonno, alle stelle, alle rocce, ai monti e alle onde, sento scorrere il tempo come un riflusso del mare. Avverto l'eternità dell'uomo, l'identità del suo pensiero. l'uomo greco ebbe dunque, a quanto sembra, gli stessi compagni di vita che ho io. Il sole e la luna, l'acqua e il fuoco incontrarono il suo cuore così come incontrano il mio. Per cui la tanto decantata differenza tra Greci e Inglesi, tra scuola classica e scuola romantica appare superficiale e pedantesca.
Quando un pensiero di Platone diventa pensiero anche per me, quando una verità che infiammò l'animo di Pindaro infiamma anche il mio animo, il tempo è annullato. Allorché avverto che entrambi ci incontriamo nella percezione che le nostre due anime si colorano della stessa tinta e che convergono, si può dire, l'una nell'altra, perché dovrei stare a misurare i gradi di latitudine, perché dovrei stare a calcolare i lunghi anni egizi?

Lo studioso interpreta l'età della cavalleria secondo la sua personale età della cavalleria, e i tempi delle grandi avventure di mare e delle circumnavigazioni attraverso le sue stesse parallele esperienze in miniatura. La stessa chiave applica anche alla storia sacra. Quando la voce di un profeta che si leva dalle profondità dei tempi fa schiettamente risuonare in lui un sentimento d'infanzia, una preghiera della sua adolescenza, egli penetra allora fino alla verità, pur attraverso la confusione della tradizione e la caricatura delle istituzioni.

Rari, stravaganti spiriti vengono a noi a intervalli, e ci dischiudono fatti nuovi che accadono in natura. Vedo che uomini di Dio hanno di tanto in tanto camminato tra gli uomini, e hanno infuso anche nel cuore del più modesto degli ascoltatori il senso della loro missione. Derivarono da qui, evidentemente, il tripode sacro, il sacerdote, la sacerdotessa ispirata da un affiato divino.

Gesù meraviglia e soggioga la gente legata ai sensi, che non riesce a collegarlo alla storia o a riferirlo a se stessa. Ma quando incominciano poi a dare ascolto al loro più profondo intuito e ad aspirare a vivere un po' più santamente, la loro stessa pietà spiega infine ogni episodio, ogni parola.

Come agevolmente questi vecchi culti di Mosè, di Zoroastro, di Manu,
17 di Socrate, diventano intrinseci alla mia mente! Non riesco a trovarvi nulla di antico. Appartengono a me nella stessa misura in cui io appartengo a loro.

Ho visto i primi monaci e anacoreti senza bisogno di attraversare né mari né secoli. Più di una volta mi è comparso innanzi qualcuno incurante, allo stesso modo, di ogni genere di lavoro e allo stesso modo imperioso nell'invitarmi alla contemplazione: un altero beneficiano che parla in nome di Dio stesso, come per rendere accettabili al nostro secolo decimonono un Simeone lo Stilita, la Tebaide
18 e i primi cappuccini.

Il sacerdozio d'Oriente e d'Occidente, dei Magi, dei Bramini, dei Druidi, degli Incas, trova anch'esso spiegazione nella personale vita dell'individuo. Il paralizzante influsso esercitato da un severo pedagogo sull'animo di un fanciullo - un influsso che ne reprime spiriti e coraggio, bloccandone l'intelligenza (e tutto ciò senza provocare alcuna indignazione, ma solo timore e ubbidienza e perfino simpatia per quella tirannia) - è una situazione a noi familiare, che il fanciullo spiegherà a se stesso, diventato adulto, constatando come l'oppressore della sua giovinezza è anch'egli, a sua volta, un fanciullo tiranneggiato da nomi, parole e formule di cui egli era soltanto il tramite per i giovani. Ciò gli spiega anche come Belo poté essere adorato, e come fu possibile erigere le Piramidi, molto meglio di quanto non possa essergli indicato dalla scoperta, fatta da Champollion,
19 dei nomi di coloro che vi lavoravano e del costo di ogni blocco di pietra. Egli trova così l'Assiria e i tumuli di Cholula20 alle porte di casa sua: ne ha posto egli stesso i vari strati.

Inoltre, nella protesta che ogni uomo ragionevole avanza contro la superstizione del proprio tempo, egli ri
pete, passo passo, il ruolo svolto dai vecchi riformatori e, come loro, postosi alla ricerca della verità, trova anch'egli nuovi pericoli per la virtù. Impara, ancora una volta, quanto vigore morale sia necessario per approntare una guaina alla superstizione. Una grande sregolatezza tiene dietro a una riforma. Quante volte nella storia del mondo il Lutero di turno ha dovuto lamentare il decadimento della pietà nella sua stessa casa! «Com'è accaduto, dottore» chiese un giorno la moglie a Martin Lutero «com'è che mentre eravamo soggetti al papato pregavamo così spesso e con tanto fervore, mentre adesso preghiamo con tanta freddezza e così di rado?»

Nel suo procedere, l'uomo scopre quali tesori possiede nel dominio della letteratura - in ogni favola così come in ogni storia. Scopre che il poeta era tutt'altro che un tipo bizzarro che descriveva eccentriche e improbabili situazioni, ma che, attraverso la sua penna, l'uomo universale ha scritto una confessione vera per uno e vera per tutti. Scopre la sua propria biografia in versi a lui mirabilmente intelligibili, allineati lì prima ancora che egli nascesse. L'uno dopo l'altro, egli perviene così alle sue stesse personali avventure con l'aiuto di ogni favola di Esopo, di Omero, di Hafiz,
21 di Ariosto, di Chaucer, di Scott, e le verifica con la sua testa e le sue mani.

Le bellissime favole dei Greci, perfette creazioni dell'immaginazione più che della fantasia, sono verità universali. Quale gamma di significati e quale perenne pertinenza presenta la storia di Prometeo! Oltre al suo basilare valore come di un primo capitolo della storia dell'Europa (la mitologia adombra col suo sottile velo fatti autentici, come l'invenzione delle arti meccaniche e le prime migrazioni e fondazioni di colonie), essa ci offre la storia della religione, con qualche accostamento alla fede di età posteriori. Prometeo è il Gesù dell'antica mitologia. È l'amico dell'uomo; sta tra l'ingiusta «giustizia» dell'Eterno Padre e la razza dei mortali, ed è pronto a soffrire ogni cosa per essi. Ma quando il mito si discosta dal cristianesimo calvinista e presenta Prometeo come colui che sfida Giove, ci rappresenta allora una concezione che compare dovunque la dottrina del teismo sia insegnata in forma rigida, freddamente oggettiva, tale da sembrare come l'autodifesa dell'uomo contro una non-verità, cioè come un senso di scontento per la diffusa credenza che un Dio esiste, e con la sensazione che l'obbligo di riverirlo è particolarmente oneroso. Il Prometeo incatenato22 è l'avventura dello scetticismo. Né meno validi per sempre sono i dettagli, i particolari di quel maestoso apologo. Apollo custodì le greggi di Admeto, scrissero i poeti. Quando gli dei vengono in mezzo agli uomini non sono riconosciuti. Non lo fu Gesù, non lo furono né Socrate né Shakespeare. Anteo fu soffocato dalla stretta di Ercole, ma ogni volta che toccava la terra-madre si rinnovava la sua forza. l'uomo è il gigante atterrato; ma, nonostante ogni sua debolezza, il suo corpo e il suo animo riprendono vigore ogni volta attraverso il suo conversare con la natura. Il potere della musica, il potere che ha la poesia di sciogliere e di dare le ali, per dir così, alla solida natura, gli spiega l'enigma di Orfeo. La percezione filosofica di identità attraverso un infinito numero di mutamenti di forma gli fa riconoscere Proteo. Che cosa sono io che ieri ridevo o piangevo, che dormivo, la notte scorsa, immobile come un cadavere e che stamane ero in piedi e correvo? Che c'è da vedere in tutto ciò se non le trasmigrazioni di Proteo? Potrei esprimere simbolicamente il mio pensiero adoperando il nome di ogni essere esistente, di ogni fatto, dato che ogni essere non è che l'uomo agente e l'uomo che subisce. Tantalo23 non è che un nome per voi e per me. Tantalo significa l'impossibilità di bere le acque del pensiero che sempre brillano e si agitano dinanzi agli occhi dell'anima. La trasmigrazione delle anime non è una favola. Io vorrei che lo fosse; ma è che uomini e donne sono umani solo a metà. Ogni animale di cortile, di campo o di foresta, della terra e delle acque sotto la terra è riuscito a stampare una sua impronta, a lasciare il segno dei suoi lineamenti e della sua forma nell'uno o nell'altro di questi esseri eretti che parlano guardando il cielo. Ah, fratello! Arresta il riflusso della tua anima - della tua anima rifluente in basso verso quelle forme entro la cui consuetudine per tanti anni sei scivolato. Altrettanto vicina a noi è l'antica favola della Sfinge, che sedeva, come si racconta, al margine della strada e poneva enigmi a chiunque passasse di là. E l'avrebbe inghiottito vivo se non avesse saputo rispondere. Ma se avesse invece sciolto l'enigma, sarebbe stata lei a morire. E che altro è il nostro vivere se non un'infinita fuga di alati fatti ed eventi? In fascinosa varietà arrivano questi cambiamenti;e tutti pongono domande al nostro spirito. Quelli che non sanno rispondere con superiore saggezza a tali fatti e interrogativi del tempo, finiscono col diventarne servi. I fatti li opprimono, li tiranneggiano e li rendono uomini abitudinari, uomini del senso, nei quali una letterale ubbidienza ai fatti ha estinto ogni scintilla di quella luce per la quale un uomo è un uomo. Ma se l'uomo è fedele ai suoi migliori istinti e sentimenti e rifiuta il predominio dei fatti, come uno che sa di provenire da più nobile lignaggio; se rimane strettamente legato alla propria anima e si porta in vista del supremo principio, oh, allora i fatti ricadranno docili e arrendevoli ai loro posti; riconosceranno il loro signore, e anche i più insignificanti di essi lo glorificheranno. Nell'Elena di Goethe24 si può scorgere quello stesso desiderio che di ogni nostra parola vorrebbe fare una cosa. Queste figure, ognuno dirà, questi Chironi, Grifoni, Forcidi, ed Elena e Leda, rappresentano qualcosa, ed esercitano uno specifico influsso sulla mente. Si tratta di eterne entità, altrettanto reali oggi che al tempo della prima Olimpiade.25 Molto meditando su di esse, egli esprime liberamente il suo proprio stato d'animo, dà loro corpo per la sua propria immaginazione. E benché si tratti di un poema fantastico e vago come un sogno, risulta tuttavia assai più attraente di ogni altra più regolare opera drammatica dello stesso autore, in quanto esso fornisce alla mente un meraviglioso sollievo dall'ordinaria routine delle consuete immagini: risveglia nel lettore fantasia e inventività con quel suo disegno libero e smisurato e con quell'incessante succedersi di colpi a sorpresa.

La natura universale, troppo forte per la fragile natura del bardo, gli sta sul collo e scrive con la sua mano; e mentre sembra che il poeta porti avanti soltanto un suo semplice capriccio e un suo strampalato argomento, l'e-sito conclusivo è invece un'esatta allegoria. Per questo, Platone disse che «i poeti esprimono cose grandi e degne che essi stessi non intendono». Tutte le fantasie del Medioevo si spiegano come un'espressione velata o scherzosa di tutto quello che, nel suo lato più serio e austero, lo spirito di quell'età si sforzò di raggiungere. La magia e tutto quanto ad essa si riferisce è un profondo presenti-mento dei poteri della scienza. Gli stivali delle sette leghe, la spada che tutto taglia, il potere di soggiogare gli elementi, di usare le segrete virtù dei minerali, di comprendere le voci degli uccelli, rappresentano gli oscuri sforzi della mente verso una giusta direzione. Le soprannaturali prodezze dell'eroe, il dono della perpetua giovinezza e altre simili cose rappresentano ugualmente il tentativo dello spirito umano di «piegare le apparenze delle cose ai desideri della mente».

Nel Perceforest e nell'Amadigi di Gaula,
26 una ghirlanda e una rosa sbocciano sulla testa di colei che resta fedele e sfioriscono sulla fronte della fanciulla incostante. Nel leggere Il ragazzo e il mantello27 anche un lettore maturo avverte un guizzo di virtuoso piacere di fronte al trionfo della gentile Venelas; e certamente tutti i postulati delle cronache degli elfi - e cioè che le fate non amano di esser nominate, che i loro doni sono doni capricciosi e non affidabili, che chi cerca un tesoro non deve mai dirlo, e così via - io li trovo perfettamente validi a Concord per quanto possano esserlo in Cornovaglia e in Bretagna.

Accade forse diversamente nei più recenti romanzi? Ho letto La sposa di Lammermoor.
28 Sir William Ashton è una maschera per significare una volgare tentazione, Ravenswood Castle è un bel nome per indicare una fiera povertà, e la missione ufficiale all'estero è solo un travestimento alla Bunyan per significare onesta attività. Tutti spareremmo al toro infuriato che volesse disarcionare il bello e il buono, sconfiggendo ingiustizia e volgarità. Lucy Ashton è un nome che sta a significare fedeltà, che è sempre qualità bellissima e sempre esposta a calamità in questo mondo.

Ma insieme alla storia civile e metafisica dell'uomo un'altra storia si svolge giorno per giorno - quella del mondo esteriore, nella quale siamo non meno strettamente implicati. l'uomo è il compendio del tempo; ed è anche il correlativo della natura. La sua forza consiste anzi nel gran numero delle sue affinità, nel fatto che la sua vita s'intreccia con l'intera catena dell'essere organico e inorganico. Nell'antica Roma, le grandi strade pubbliche partivano dal Foro e si snodavano verso il nord, il sud, l'est e l'ovest, verso il centro di ogni provincia dell'impero, rendendo in tal modo accessibile ogni città-mercato della Persia, della Spagna e della Britannia ai soldati della capitale: allo stesso modo, dal cuore umano si dipartono come delle strade maestre verso il cuore di ogni cosa che esiste in natura, per ridurla sotto il dominio dell'uomo. Un uomo è un fascio di interrelazioni, un nodo di radici, il cui fiore e frutto è il mondo. Le sue facoltà fanno riferimento a facoltà a lui esterne e anticipano il mondo che andrà ad abitare, così come le pinne del pesce preannunciano che esiste l'acqua o le ali di un'aquila presuppongono già nell'uovo l'aria libera. l'uomo non può vivere senza un mondo. Ponete Napoleone nella prigione di un'isola, fate in modo che le sue facoltà non incontrino nemmeno un uomo sul quale agire, nessun'Alpe da scalare, né poste per cui giocare, ed egli batterà l'aria invano e finirà col sembrare uno stupido. Trasportatelo in grandi paesi, tra una fitta popolazione, tra complessi interessi e un potere antagonistico, e vedrete che l'uomo Napoleone, quello delimitato da quel profilo e da quei lineamenti, non è il Napoleone virtuale. E solo l'ombra di Talbot:

La sua sostanza non è qui.
Ciò che vedete è solo la più piccola parte e ùn'infima porzione di umanità;
ma se l'intero essere fosse qui, sarebbe di così ed eccelsa misura
che il vostro tetto non potrebbe contenerlo.
29

Colombo ha bisogno di un pianeta su cui tracciare la sua rotta. Newton e Laplace hanno bisogno di miriadi di ere e di spazi celesti fittamente popolati. Si potrebbe affermare che tutto un sistema gravitante intorno al sole fosse già profetizzato nella natura della mente di Newton.
E lo stesso potrebbe dirsi del cervello di Davy o di quello di Gay-Lussac,30 che fin dalla fanciullezza si misero a esplorare le affinità e le repulsioni fra le particelle, anticipandone le specifiche leggi. l'occhio dell'embrione umano non preannunzia forse la luce? l'orecchio di Haendel non predice la magia di armoniosi suoni? Le dita costruttive di Watt, di Fulton, di Whittemore e di Arkwright31 non predicono la fusibile, dura e temperabile struttura dei metalli, le proprietà della pietra, dell'acqua e del legno? E i graziosi attributi della fanciulla non predicono le finezze e gli ornamenti della società civile? Anche qui siamo invitati a ricordarci dell'azione che l'uomo esercita sull'uomo. Una mente potrebbe stare a ponderare i suoi pensieri per intere epoche e non conseguire mai la conoscenza di sé che gli può essere invece insegnata, in un sol giorno, dalla passione d'amore. Chi può veramente conoscere se stesso se prima non ha provato moti d'indignazione per un oltraggio ricevuto, o se non ha ascoltato una buona eloquente lingua, o se non ha mai condiviso il fremito di migliaia di persone in una manifestazione collettiva di esultanza o di allarmistico timore? Nessun uomo può mai predatare le sue esperienze e congetturare quali facoltà e sentimenti una nuova situazione può dischiudergli, più di quanto egli possa disegnare oggi il viso di una persona che vedrà domani per la prima volta.

Non andrò ora dietro ai giudizi più generalmente correnti per indagare sulle ragioni di una tale corrispondenza. Sarà sufficiente dire che è alla luce di questi due fondamentali fatti, e cioè che la mente è Una e che la natura è il suo correlativo, che dev'essere letta e scritta la storia.

Così l'anima concentra in tutti i modi e riproduce i suoi tesori per ogni suo volenteroso allievo. Passerà anche lui attraverso l'intero ciclo dell'esperienza. Raccoglierà in un punto focale i raggi della natura. La storia non sarà più un tedioso libro. Essa procederà incarnata in ogni persona giusta e saggia. Non dovrete più presentarmi, distinto per lingue e per titoli, il catalogo dei volumi che avete letto. Dovrete piuttosto farmi sentire quali periodi avete vissuto. Un uomo dovrà essere il tempio della Fama. Egli procederà, come i poeti dissero della dea, in un manto tutto dipinto di mirabili eventi ed esperienze; la sua stessa forma, le sue fattezze, grazie a un tale acceso comunicare, saranno tutt'uno con quella vanegata veste. Troverò in lui il Mondo Originario; e, nella sua infanzia, l'Età dell'Oro, le Mele del Sapere, la Spedizione degli Argonauti, la Chiamata di Abramo, l'edificazione del Tempio, l'Avvento di Cristo, l'Età Oscura, la Rinascita delle Lettere, la Riforma, la scoperta di nuove terre, l'aprirsi di nuove scienze e di nuove regioni nell'uomo. Egli sarà il sacerdote di Pan e recherà con sé nelle più umili capanne il benedicente saluto delle stelle del mattino e tutti i benefici del cielo e della terra.

Vi è forse qualche oltracotanza in una simile pretesa? In tal caso, rigetterei tutto ciò che ho scritto; a che cosa servirebbe, infatti, pretendere di conoscere ciò che non conosciamo? Ma è un difetto dei nostri procedimenti retorici quello di non poter affermare una cosa con energia senza dover sembrare di smentirne un'altra. Io ritengo che il nostro attuale sapere sia di qualità scadente. Sentite i topi nel muro, guardate la lucertola sulla palizzata, il fungo sotto i vostri passi, il lichene sul tronco. Ma che cosa conosco in verità, simpateticamente e moralmente, dell'uno e dell'altro di questi mondi di vita? Antiche quanto l'uomo caucasico - forse ancora più antiche -queste umili creature hanno tenuto accanto a lui le loro assemblee, e non vi è alcun verbale di parole o segni intercorsi fra loro. Quale nesso indicano i libri fra i cinquanta o sessanta elementi chimici e le epoche storiche? E che cosa può registrare la storia degli annali metafisici dell'uomo? Quale luce essa sa diffondere su quei misteri cui diamo i nomi di Morte e di Immortalità? Eppure, ogni storia dovrebbe essere scritta con una saggezza capace di intuire l'intera gamma delle nostre affinità e di guardare ai fatti come a dei simboli. C'è da vergognarsi quando considero quale miserevole racconto di villaggio sia in effetti la nostra cosiddetta Storia. Quante volte ripetiamo i nomi di Roma, Parigi, Costantinopoli! E che cosa sa Roma di topi e lucertole? Che sono le Olimpiadi e i Consolati per questi altri sistemi d'esistenza confinanti con noi? Anzi, quale nutrimento, quale esperienza o ausilio rappresentano per il cacciatore di foche eschimese, per il kanaka
32 nella sua canoa, per il pescatore, per lo scaricatore di porto, per il facchino?

Dovremo scrivere annali più estesi e meglio approfonditi - partendo da una riforma etica, dall'influsso di una sempre nuova e sempre salutare consapevolezza - se vogliamo in modo più veritiero esprimere la nostra natura così concentrata e così vastamente correlata, al posto di queste vecchie cronologie dell'egocentrismo e dell'orgoglio, alle quali per troppo tempo abbiamo rivolto i nostri occhi. Già quel giorno esiste per noi, brilla su di noi senza che ce ne accorgiamo; ma la via della scienza e delle lettere non è quella che conduce alla natura. l'idiota, l'Indiano, il fanciullo e il figlio dell'agricoltore che non è andato a scuola sono più vicini alla luce secondo la quale la natura dev'essere letta: più di quanto non lo sia l'anatomista o l'antiquario.






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NOTE



1 Figure bibliche e figure tratte dal mondo greco-romano (o figure,
in promiscue citazioni, di scienziati e di letterati, di personaggi mitici e personaggi storici, in «esemplan» parallelismi).

2 «O sole, fermati su Gibeon!» (Giosuè, X, 10).

3 James Ferguson (1710-1776), scozzese, fu fisico e astronomo.

4 Scrittore e politico inglese, Burke è il celebre autore delle Riflessioni sulla Rivoluzione francese (1790) e del trattato sul «sublime»; Thomas More, il famoso umanista, cancelliere del re Enrico VIII, fu decapitato per aver rifiutato di aderire allo scisma anglicano (1535); il poeta inglese Philip Sidney cadde combattendo contro gli spagnoli (1586). Quanto a Marmaduke Robinson, si tratta in realtà di William Robinson, fervente quacchero, impiccato a Boston nel 1659 insieme al compagno di fede Marmaduke Stevenson. Emerson incorse, evidentemente, in una sorta di «contaminatio» dei nomi.

5 Salem, nel Massachusetts, fu teatro di una fanatica persecuzione contro la stregoneria, con processi, condanne e impiccagioni (1692).

6 I «Risvegli» (Revivals) furono movimenti di rinascita religiosa, caratterizzati da forte accentuazione di elementi emozionali, nell'ambito del protestantesimo (come il pietismo in Germania, il metodismo in Inghilterra, il «Grande Risveglio» nell'America del primo Settecento).

7 La capitale del Rhode Island.

8 Il grandioso complesso megalitico nei pressi di Salisbury, nell'Inghilterra meridionale.

9 Tracciati da tribù indiane in età preistorica (presso Hillsboro,
nell'Ohio).

10 Il padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823), che penetrò
per primo nella piramide di Chefren.

11 Io, amata da Giove, e mutata da Era in giovenca, per gelosia, riacquisterà poi le forme umane in Egitto, dove sarà identificata con la dea Iside.

12 Un sachem era un capotribù indiano.

13 Di un'incisione tratta dalla celebre Aurora di Guido Reni (1575-642) il Carlyle fece dono a Emerson.

14 Fiume dell'Etiopia, menzionato da Strabone.

15 Senofonte, Anabasi, IV, 4, 12.

16 Nel Filottete di Sofocle hanno, appunto, particolare risalto gli aspetti della natura e dcl paesaggio.

17 A Manu, progenitore della razza umana nell'antica religione indiana, è attribuito il Codice di Manu.

18 Simeone (V secolo) visse per molti anni su una colonna (donde l'appellativo di Stilita); la Tebaide, nell'alto Egitto, fu frequentata da mistici e da anacoreti.

19 Il celebre egittologo francese (1790-1832) che per primo decifrò la scrittura geroglifica degli antichi Egizi.

20 Nel Messico.

21 Poeta lirico persiano (ca. 1320-1390).

22 Il mito di Prometeo fu spesso ripreso, in effetti, dai romantici (e basterà ricordare Shelley) in chiave di ribellione e di affermazione, da parte dell'uomo, contro lo stesso potere divino, della sua specificità umana.

23 Condannato, nel Tartaro, a patire fame e sete, pur avendo dinanzi a sé cibo e acqua (che si ritraevano al suo accostarsi).

24 Nel Faust, parte seconda.

25 Fissata al 776 a.C.

26 Il Perceforest, ambie26ntato nell'antica Britannia, fu pubblicato a Parigi nel 1528; l'Amadigi è un romanzo cavalleresco spagnolo (1508), basato su fonti più antiche di origine probabilmente portoghese.

27 È il titolo (The Boy and the Mantle) di un'antica ballata inglese (nella raccolta del Percy).

28 The Bride ofLammermoor (1819). uno dei più popolari romanzi storici di Walter Scott. Sarà poi musicato da Donizetti (Lucia di Lammermoor, 1835).

29 Henry VI (l'historical play di Shakespeare), parte I, Atto Il, sc. III.

30 Rumphrey Davy (1778-1829): un chimico inglese, inventore della lampada di sicurezza per il lavoro nelle miniere; Gay-Lussac è il ben noto chimico francese che enunciò le leggi che regolano il comportamento dei gas.

31 Altri esempi di scienza «applicata». Robert Fulton costruì il primo battello a vapore (1803); Jamcs Watt inventò la motrice a vapore (1769); Robert Arkwright cominciò a organizzare, nella seconda metà del Settecento, il lavoro in fabbrica. Amos Whittcmore (1759-1828): inventore americano.

32 Parola di origine hawaiana: significa «uomo», ma indica anche chi è addetto a pesanti lavori manuali