Ralph Waldo Emerson

Politica


(Politics)


Oro e ferro sono buoni
a comprar ferro e oro;
della terra il vello e il frutto
sono venduti ad acquistar simili cose.
Lo predisse il mago Merlino,
lo provò il grande Napoleone - (1)
né merci né denaro comprano
ciò che sia oltre il loro valore.
Timore, astuzia e avarizia
non possono far crescere uno Stato.
A costruire dalla polvere
quel che è più che polvere,
le mura che Anfione ammucchiò
Febo deve poi riassestare. (2)
Quando le nove Muse
con le Virtù s'incontrano,
trovano per i loro disegni
una sede atlantica,
che verdi rami di giardini
proteggono dalla calura,
dove traccia il reggitore
solchi per il grano.
Quando la Chiesa è valore sociale,
quando il pubblico palazzo è il focolare
allora al perfetto Stato si è pervenuti,
il repubblicano è a suo pieno agio. (3)



Trattando dello Stato, dovremmo sempre tener presente che le sue Istituzioni non sono originarie, benché esistessero già prima, certo, che noi nascessimo; che esse non sono superiori ai cittadini; che ogni legge e costume fu l'espediente escogitato da qualcuno per affrontare un qualche particolare caso; che esse sono tutte imitabili, tutte alterabili, e che siamo noi che possiamo farle più o meno buone; e renderle migliori. Al giovane cittadino la società appare come un qualcosa di illusorio. Essa è lì davanti a lui, rigida e ferma, con quei nomi, con quelle istituzioni piantate lì al centro come grandi querce, in-torno a cui tutti si danno da fare per quanto meglio pos sono. Ma il vecchio politico sa bene che la società è invece fluida e che non esistono né centri né radici, ma ogni particella può improvvisamente diventare il centro di tutto il movimento e obbligare l'intero sistema a ruotare intorno ad essa, così come fa, per un certo tempo, ciascun uomo che sia dotato di forte tempra e volontà - un Pisistrato, un Cromwell (4) - e, per sempre, ogni uomo di grande spirito di verità - un Platone, un Paolo. Ciò nonostante, la politica poggia su fondamenti necessari e non può esser trattata con leggerezza. Le repubbliche abbondano di giovani avvocati, i quali ritengono che le leggi fanno le città e che grandi modificazioni di linea politica e di costumi e di attività nelle popolazioni, e commercio e sistemi educativi e religione, possano essere approvati o respinti mediante una votazione; e che qualsiasi provvedimento, per quanto assurdo, possa essere imposto alla gente se solo si riesce a raccogliere i consensi necessari per farlo diventare legge. Ma i più saggi sanno che una stolta legislazione è una corda di sabbia che si sbriciola nell'attorcigliarsi; che lo Stato deve assecondare e non guidare il carattere e il progresso dei cittadini; che anche del più forte usurpatore prima o poi ci si libera; e che solo quelli che costruiscono sulle idee costruiscono per sempre; e che la forma di governo che prevale è l'espressione del tipo di cultura che esiste nel popolo che l'abbia permessa. La legge è solo un memorandum. Nella nostra superstizione, crediamo che uno statuto abbia un suo stabile valore: ma la sua forza sta in quel tanto di vita che anima gli uomini in carne e ossa. Lo statuto sta lì a dirci: «Jeri ci siamo accordati su questo e su quello, ma che cosa pensate oggi di quest'articolo?». Il nostro statuto è una moneta sulla quale imprimiamo la nostra immagine: ma, ben presto, non la si riconosce più e, passato un certo tempo, dev'essere riportata alla zecca. La natura non è democratica, e non è neanche monarchico-costituzionale, ma è dispotica, e non si farà aggirare né sottrarre un solo iota della sua autorità nemmeno dal più caparbio dei suoi figli; e quanto più la pubblica opinione si apre a una più acuta intelligenza delle cose, tanto più il suo codice è considerato schematico e balbettante. Non parla in maniera articolata, e dev'essere resa tale? Nel frattempo, non cessa mai l'educazione dello spirito generale. I sogni e le progettazioni dei cuori schietti e semplici si rivelano profetici. Quel che sogna e prega e dipinge, oggi, il giovane poetico e idealista, evitando di dichiararlo ad alta voce per timore del ridicolo, può tra non molto diventare oggetto di decisione da parte di pubbliche assemblee; potrà essere portato avanti sotto forma di lagnanza e poi di legge sui diritti, tra conflitti e battaglie, e infine trasformarsi trionfalmente in legge e in robusta istituzione per qualche centinaio di anni, finché non faccia posto, a sua volta, a nuove preghiere e nuove immaginazioni. La storia dello Stato segue, anche se a più grosse linee, il progresso stesso del pensiero e riecheggia, più a distanza, le sottigliezze della cultura e delle ispirazioni ideali.
La teoria politica che ha dominato le menti degli uomini e che essi hannosempre espresso, per quanto meglio fosse possibile, nelle loro leggi e nelle loro rivoluzioni, considera le persone e i beni come i due oggetti per la cui tutela esiste un governo. Quanto alle persone, tutte hanno uguali diritti in virtù del loro essere identiche in natura. Una tale partecipazione richiede ovviamente, e con tutta energia, un ordinamento democratico. Accade però che mentre i diritti di tutti in quanto persone sono uguali in virtù, appunto, del loro uguale accesso alla ragione, i loro diritti al possesso dei beni restano molto ineguali. C'è chi possiede solo i propri abiti e chi possiede una contea. Un tale accidentale fatto, che dipende, prima d'ogni altra cosa, dalle capacità e virtù delle parti, di cui vi è una varia gamma di gradazioni, e, secondariamente, dalle vicende patrimoniali, provoca forti ineguaglianze, da cui derivano, certamente, diritti ineguali. I diritti personali, che sono identici e universali, richiedono un governo fondato sulla ratio del censimento; la proprietà richiede invece un governo fondato sulla ratio dei possidenti e del principio di proprietà. Labano (5), che possiede greggi e armenti, li vorrebbe sorvegliati da un pubblico funzionario che stia di guardia alla frontiera, temendo che i Medianiti possano portarglieli via; e paga una tassa per questo. Giacobbe non ha invece né greggi né armenti, né ha paura dei Medianiti, e non paga nessuna tassa per il pubblico funzionario. Sembrò che fosse giusto che Labano e Giacobbe avessero diritto a scegliersi il sorvegliante che vigilasse sulle loro persone, ma che il solo Labano e non Giacobbe avesse diritto a scegliere il pubblico funzionario addetto alla sorveglianza delle pecore e del bestiame. E se si ponesse il problema di decidere se si debba aumentare il numero dei sorveglianti o delle torri di guardia, non dovrebbero Labano e Isacco, e tutti quelli che sono stati persino costretti a vendere una parte dei loro armenti per procurarsi protezione e tranquillità, dare al riguardo un loro parere in misura più adeguata e con maggiori diritti di Giacobbe che, giovane ed errabondo qual è, mangia il loro pane e non il suo?
Nelle società più primitive erano i proprietari stessi a produrre la loro ricchezza, e finché questa affluiva in maniera diretta ai possessori, nessun'altra opinione si sarebbe levata, in ogni comunità che voleva essere equanime, diversa da quella secondo cui la proprietà doveva far le leggi che riguardavano la proprietà, e le persone le leggi che riguardavano le persone.
Ma la proprietà passa poi, per donazione o per eredità, a coloro che non l'hanno prodotta. Nel primo caso, la donazione la lega, praticamente, al nuovo proprietario con i medesimi vincoli coi quali il lavoro l'aveva legata al suo primo proprietario; nel secondo caso, nel caso cioè di un patrimonio ereditato, la legge crea un possesso che avrà valore, agli occhi degli altri uomini, a seconda della considerazione della pubblica tranquillità che questi possano avere.
Si trovò, in ogni caso, che era tutt'altro che facile attuare il principio, così prontamente recepito, secondo il quale la proprietà dovrebbe far le leggi che riguardano la proprietà e le persone le leggi che riguardano le persone, dato che persone e beni si trovavano continuamente mescolati in ogni transazione. Parve infine più giusta un'altra distinzione: e cioè che ai proprietari di beni si dovessero concedere più larghe franchigie elettorali rispetto ai non possidenti, secondo il principio spartano di «chiamare uguale ciò che è giusto e non giusto ciò che è uguale».
Tuttavia, un tale principio non è più ritenuto così evidente come poteva apparire in passato; in parte, perché si è cominciato a dubitare se non si fosse dato un eccessivo peso, nelle leggi, al principio di proprietà, e se non fosse stata permessa alle nostre consuetudini una strutturazione tale che consentiva ai ricchi di abusare dei poveri, continuando a tenerli poveri; ma, soprattutto, perché esiste un senso istintivo, benché oscuro e ancora inarticolato, secondo il quale è l'intero assetto della proprietà nei suoi attuali termini che appare oltremodo oltraggioso, e degradante e corruttrice la sua influenza sulle persone; che, quindi, l'unico oggetto veramente degno di considerazione da parte di uno Stato devono essere le persone; che i beni devono sempre venir dopo le persone; che il fine più alto è' per un governo, quello dell'educazione; che se gli uomini saranno meglio educati, anche le istituzioni diventeranno migliori; e che sarà pertanto il sentimento morale a scrivere le leggi che riguardano la proprietà stessa e il possesso della terra.
Se è tutt'altro che facile stabilire l'equità di una tale questione, minore è la difficoltà allorché prendiamo in considerazione le nostre naturali difese. Noi siamo protetti da guardie migliori di quanto non siano i magistrati che di solito eleggiamo. La società è composta, per la maggior parte, di giovani e di sprovveduti. I più anziani, che hanno saputo trarre esperienze dall'ipocrisia di corti e di governanti, muoiono senza lasciare la loro saggezza in eredità ai figli. Questi si affidano al loro giornale, così come fecero, a loro tempo, i padri. Con tali maggioranze inconsapevoli e ingannabili, gli Stati andrebbero ben presto a sicura rovina se non esistessero dei limiti oltre i quali non possono andare neppure la follia e l'ambizione di quelli che detengono il potere. Le cose hanno, come gli uomini, le loro leggi; e le cose rifiutano di essere aggirate con astuzie e trucchi. I beni, certo, devono essere tutelati. Il grano non cresce se non è seminato e curato; ma l'agricoltore non si metterà a piantare e a vangare se non avrà cento probabilità contro una di poter mietere e raccogliere. In una forma o nell'altra, persone e beni devono avere, e avranno, la loro giusta influenza. E l'eserciteranno con la stessa fermezza con la quale la materia esercita la sua forza d'attrazione. Coprite una libbra di terra quanto più scaltramente potete, dividetela e suddividetela; potrete liquefarla, convertirla in gas: peserà sempre una libbra. Attirerà e respingerà altra materia in ragione di una libbra di peso; e allo stesso modo, le qualità di una persona, il suo spirito e la sua energia morale eserciteranno, sotto qualsiasi legge e sotto la più rovinosa tirannia, la loro forza specifica, se non apertamente, in modo segreto; se non per vie legali, anche contro la legge; col diritto, insomma, o con la forza.
Sarebbe impossibile fissare i limiti dell'influenza esercitata da ogni singola persona, essendo le persone organi di forza morale o super-naturale. Sotto il dominio di un'idea che s'impossessi di grandi moltitudini - come l'idea di libertà civile o un intenso sentimento religioso - i poteri delle persone non sono più calcolabili. Una nazione di uomini decisi alla libertà o a una conquista può facilmente sconvolgere l'aritmetica delle statistiche e portare a compimento imprese al di fuori dell'ordina-rio, al di là di ogni rapporto e proporzione con i loro mezzi: come hanno dimostrato i Greci, gli Arabi, gli Svizzeri, (6) gli Americani, i Francesi.
In analoga maniera, ogni più piccola particella di un determinato bene possiede una sua capacità di attrazione. Un centesimo rappresenta una certa quantità di grano o di altra utile cosa. Il suo valore è in relazione con le necessità dell'animale-uomo. Equivale a tanto di calore, a tanto di pane, a tanto di acqua e a tanto di terra. La legge può fare quel che vuole nei riguardi di un proprietario; ma dovrà pur sempre fare i conti con quel centesimo. La legge potrebbe anche dichiarare, nel ghiribizzo di un momento, che tutti potranno accedere al potere tranne quelli che posseggano una proprietà, ai quali non sarà anzi mai concesso nessun diritto di voto. E tuttavia, in nome di una più alta legge, il principio di proprietà continuerebbe, anno dopo anno, a inscrivere in ogni statuto il rispetto della proprietà. Il non-proprietario diventerebbe insomma lo scriba del proprietario. Il principio generale di proprietà farebbe ciò che i possidenti vorrebbero che si facesse, sia per vie legali, sia, anche, a dispetto della legge. Naturalmente, io parlo della proprietà tutta e non semplicemente dei grandi latifondi. Quando i ricchi vengono battuti, come di frequente accade, è il tesoro congiunto di tutti i poveri che vince sul cumulo delle loro ricchezze. Ogni uomo possiede qualcosa, sia pure soltanto una mucca, una carriola, o le sue sole braccia, e ha in tal modo questa proprietà di cui disporre.
La stessa necessità che assicura i diritti delle persone e quelli della proprietà contro le prevenzioni del magistrato, determina anche la forma e i metodi del governare, propri di ciascuna nazione, e della sua peculiare concezione, in nessun modo riferibili ad altre forme di organizzazione della società. In questo paese, molto ci vantiamo delle nostre istituzioni politiche, le quali hanno questo di singolare, che scaturiscono, a memoria e testimonianza di uomini che sono ancora in vita, dal carattere stesso e dalle particolari condizioni del nostro popolo, che in esse ancora si esprime con sufficiente fedeltà: - e noi ostentatamente le preferiamo a tutte le altre nella storia. Non che esse siano migliori, sono solo più adatte a noi. Possiamo avere le nostre sagge ragioni nell'esaltare i vantaggi, nei tempi moderni, della forma democratica di governo; ma non tanto che, per altri tipi di società, nei quali la ragione consacrava la forma monarchica, non fosse questa e non quella la più vantaggiosa. La democrazia è per noi superiore in quanto il sentimento religioso del nostro tempo s'accorda meglio cQn essa. Nati 4emocratici, non siamo qualificati a giudicare la monarchia, la quale ai nostri padri, che vivevano nell'idea monarchica, apparve persino relativamente giusta. Ma le nostre istituzioni, pur concordando con lo spirito dei tempi, non sono affatto esenti da quei difetti d'applicazione che hanno screditato già altre forme. Ogni Stato esistente è corrotto. Gli uomini di valore non devono troppo ubbidire alle leggi. Quale satira su un governo può eguagliare la critica drasticità che è racchiusa nella parola politica, diventata per secoli sinonimo di astuzia, suggerendo quindi l'idea che lo Stato non è che un imbroglio?
La stessa favorevole necessità e lo stesso abuso pratico appaiono nei partiti, sia di opposizione che di appoggio al governo in carica, quali sono operanti in ogni Stato. Anche i partiti poggiano su istinti e, per i loro più ordinari scopi, trovano guide migliori di quanto non sia la sagacia dei loro capi. Essi non hanno, all'origine, nulla di perverso, ma indicano, sia pure con una certa rozzezza, alcune reali e durevoli relazioni. Ma biasimare un partito politico sarebbe come biasimare il vento dell'est o il freddo e il gelo; i suoi membri, per la maggior parte, non riuscirebbero neanche a dar conto delle loro posizioni: sono soltanto impegnati a difendere quegli interessi nei quali essi ritrovano se stessi. La nostra polemica nei loro riguardi comincia allorché essi abbandonano questo loro naturale terreno al cenno di qualche loro leader e, cedendo a più personali considerazioni, si gettano a difendere e a mantenere posizioni del tutto estranee alla loro organizzazione. Un partito è perpetuamente corrotto da una personalità. Mentre assolviamo dunque nel suo insieme l'associazione dall'accusa di disonestà, non possiamo estendere la nostra indulgenza anche ai capi. Essi raccolgono il frutto della docilità e dello zelo delle masse che dirigono. In genere, i nostri partiti sono partiti d'occasione, per dir così, più che fondati su un principio: come, per esempio, il contrasto fra interessi agricoli e interessi commerciali, partito dei capitalisti e partito dei lavoratori; partiti che si somigliano, quindi nelle loro caratteristiche generali, e che facilmente potrebbero scambiarsi le posizioni nell'appoggiare questo o quel provvedimento. I partiti fondati su un principio, come le sette religiose o il partito del libero scambio del suffragio universale, dell'abolizione della schiavitù o dell'abolizione della pena capitale, spesso degenerano nell'autoritarismo imposto da una forte personalità e accendono grandi entusiasmi. Il difetto dei nostri principa li partiti in questo paese (che può essere citato come un cospicuo esempio ditali associazioni d'opinione) è dato dal fatto che essi non si radicano stabilmente su quel terreno reale e profondo al quale teoricamente si richiama no, ma si buttano con furia a portare innanzi qualche provvedimento locale e occasionale, tutt'altro che utile all'interesse generale. Dei due grandi partiti (7) che in que sto momento si dividono quasi a metà la nazione, io di rei che l'uno difende la causa migliore, e che l'altro ha nel suo seno gli uomini migliori. Il filosofo, il poeta, l'uomo religioso vogliono certamente dare il loro voto ai democratici, a favore del libero scambio, del suffragio allargato, dell'abolizione di crudeltà legali contenute nel codice penale e di misure che facilitino l'accesso dei giovani e dei più poveri alle fonti del benessere e del potere. Ma raramente essi possono accettare le persone che il cosiddetto partito popolare propone in qualità di rappresentanti ditali generosi propositi. Costoro non hanno minimamente a cuore quei fini che danno al nome di democrazia quelle speranze e virtù che in esso sono con-tenute. Lo spirito del nostro radicalismo americano è eversivo e privo di vere finalità; non è fondato sull'amore, né su più alti e religiosi fini, è distruttivo con i suoi impulsi rancorosi ed egocentrici. D'altro canto, il partito conservatore, che si compone della parte più equilibrata, più capace e più coltivata della popolazione, è timido, incerto, e si limita semplicemente a difendere il principio di proprietà. Non rivendica nessun diritto, non aspira a nessun vero bene, non bolla nessun delitto, non propone nessuna politica generosa, non edifica, non scrive, non incoraggia le arti, non incrementa la religione, non fonda scuole, non incoraggia la scienza, non emancipa lo schiavo, non aiuta il povero o l'indiano, né l'immigrato. Né dall'uno né dall'altro partito, una volta che sia giunto al potere, il mondo può aspettarsi, nel campo delle scienze, delle arti, o dell'umanità, benefici commisurati alle risorse della nazione.
Nonostante questi difetti, io non dispero però della nostra repubblica. Non siamo alla mercé delle ondate della sorte. Nelle più feroci lotte dei partiti, l'umana natura è pur sempre rispettata: così come s'è constatato che i figli dei forzati di Botany Bay (8) avevano normali sentimenti morali, del tutto simili a quelli degli altri bambini. I cittadini di Stati feudali restano allarmati di fronte alle nostre istituzioni democratiche striscianti verso l'anarchismo; e i più anziani e i più cauti tra noi vanno imparando dagli Europei a guardare con un certo sgomento alla nostra turbolenta libertà. È stato detto che tra la nostra disinvoltura nel redigere la nostra Costituzione e il dispotismo della pubblica opinione, non abbiamo nessun'ancora; e qualche osservatore straniero pensa d'aver scoperto la nostra salvaguardia nella sacralità che attribuiamo al matrimonio; e qualche altro pensa di averla trQvata invece nel nostro spirito calvinistico. Fisher Ames, (9) più saggiamente, espresse una più generale e diffusa opinione allorché, confrontando tra loro monarchia e repubblica, disse che una monarchia è come una nave mercantile che regge benissimo il mare, ma che appena andrà a urtare contro uno scoglio, colerà immediatamente a picco; mentre una repubblica è come una zattera che non affonda mai, ma sulla quale si hanno sempre i piedi nell'acqua. Nessuna forma di governo può comunque diventare perniciosa finché restiamo protetti dalle leggi delle cose. Non importa quante tonnellate di atmosfere pesino sulle nostre teste, finché un'eguale pressione faccia da contrappeso dentro i nostri polmoni. Moltiplicate pure la massa per mille, essa non potrà mai incominciare a schiacciarci finché reazione e azione si equivalgono. Che esistano due poli e due forze, centripeta l'una e centrifuga l'altra, è un fatto universale, e ognuna delle due forze sviluppa l'altra con la sua propria attività. Una libertà infrenata può sviluppare una ferrea coscienza. La mancanza di libertà, rafforzando l'ordine e il decoro esteriore, addormenta la coscienza. La «legge di Lynch» (10) s'impone solo là dove prevale grande arditezza e vi siano capi autosufficienti. Una folla non può essere qualcosa di permanente; l'interesse stesso di ognuno richiede che ciò non avvenga, ed è soltanto la giustizia che può soddisfare tutto e tutti.
Dobbiamo nutrire un'illimitata fiducia nella necessità benevola che balugina attraverso le leggi. L'umana natura si esprime in esse in maniera altrettanto incisiva che in una statua, in una poesia, in una strada ferrata; e un compendio dei codici delle varie nazioni sarebbe una trascrizione della coscienza comune. I governi hanno la loro origine nell'identità morale che vi è tra gli uomini. La ragione che vale per l'uno è vista come ragione anche per l'altro, e per ogni altro. Vi è una misura intermedia che soddisfa tutti i partiti, quanti che siano e per quanto decisi essi siano per loro conto. Ogni uomo trova una sanzione per le sue più semplici istanze e azioni in quelle ratificazioni della coscienza che egli chiama Verità e Santità. In queste ratificazioni, e soltanto in queste, tutti i cittadini trovano sempre un perfetto accordo; non, certo, per decidere che cosa sia buono da mangiare o buono da indossare o come impiegar bene il proprio tempo, o quanta parte di terreni o di sussidio pubblico ognuno sia autorizzato a richiedere. È una verità e una giustizia che gli uomini si sforzano di applicare, via via, anche nella misurazione dei terreni, nella distribuzione dei servizi, nella protezione della vita e dei beni. I loro primi sforzi in tal senso sono, non v'è dubbio, piuttosto maldestri. Ma, nonostante tutto, il senso di una giustizia assoluta fa, in effetti, da primo governante; altrimenti, ogni governo non sarebbe che una impura forma di teocrazia. L'idea alla quale mira ogni comunità nel fare e pell'emendare le proprie leggi è l'equilibrata volontà dell'uomo saggio. Un tale uomo non lo si trova in natura, e la società fa sforzi, goffi, ma sinceri, per assicurarsi, ricorrendo a vari espedienti, quella sua ideale misura di governo: facendo in modo, per esempio, che l'intera popolazione esprima la sua opinione su ogni provvedimento da adottare; o che i rappresentanti della comunità vengano scelti attraverso una doppia elezione; o attraverso una selezione dei migliori cittadini; o, ancora, con l'affidare il governo, allo scopo di assicurare i vantaggi dell'efficienza e della pace interna, a un uomo solo, il quale scelga, a sua volta, i suoi collaboratori. Tutte le forme di governo non sono che simboli di un unico immortale governo, comune a tutte le dinastie e indipendente dai numeri, perfetto là dove siano due uomini, perfetto là dove ve ne sia uno solo.
La natura di ciascuno è per ognuno sufficiente avviso circa l'indole anche dei suoi simili, Ciò che è giusto o ingiusto per me, è giusto o ingiusto anche per loro. Finché io faccio ciò che a me si adatta ed evito ciò che non lo è, il mio vicino e io ci troveremo spesso d'accordo sui mezzi, e lavoreremo insieme, per un certo periodo, in vista di un fine comune. Ma ogni volta che io dovessi trovare il mio dominio su me stesso non bastevole per me e volessi essere io a dirigere anche quel mio vicino, trasgredirei allora la verità e stabilirei con lui un falso rapporto Potrei essere anche tanto più abile e più forte di lui da non fargli neanche esprimere il suo sentimento d ingiustizia: ma sarebbe una menzogna, e come tale offenderebbe sia lui che me. Amore e natura non riescono a tollerare la finzione; e questa, per sostenersi, deve appoggiarsi a una menzogna in atto, cioè alla forza. Questa pretesa di agire per un altro è il grossolano equivoco che costituisce poi la principale sconcezza presente in tutti i governi del mondo. Ciò che accade fra due, accade anche in una moltitudine, benché in forme non altrettanto evidenti. Io vedo bene la gran differenza che vi è tra il sottopormi io stesso a un mio autocontrollo e il mio darmi da fare per forzare qualcun altro ad agire secondo le mie vedute; ma quando un quarto del genere umano si arroga il diritto di dirmi quello che devo fare, io resto allora troppo colpito dalle circostanze per rendermi conto, con altrettanta chiarezza, dell'assurdità di una tale imposizione. Perciò avviene che tutte le finalità pubbliche appaiono vaghe e donchisciottesche confrontate con quelle di carattere più personale. Giacché tutte le leggi che non siano quelle che gli uomini fanno per se stessi diventano risibili. Se io mi metto al posto del mio bambino, ed entrambi ci immedesimiamo nello stesso pensiero, e vediamo che le cose stanno così o così, la medesima percezione varrà come legge per entrambi. Stiamo lì insieme, agiamo in perfetto accordo. Ma se invece che condurlo verso una tale consonanza di pensieri, mi metto a scrutare nelle sue intenzioni e, credendo di indovinare come stiano le cose, gli ordino di fare questo o quello, egli non mi ubbidirà mai. Questa è anche la storia dei governi: un uomo si dà da fare per costringere un altro. Un uomo che non mi conosce affatto mi carica di imposte; e ordina, dandomi un'occhiata da lontano, che una parte del mio lavoro sia destinata a questo o a quello scopo a me del tutto estraneo, così come non a me, ma a lui viene in mente. Guardate le conseguenze. Di tutti i debiti, quelli che meno volentieri si pagano sono le tasse. Che satira per i governi! Per ogni cosa si pensa che valga la pena di spendere denaro, tranne che per le tasse.
Perciò, meno governo avremo, e meglio sarà per tutti; minore è il numero delle leggi, e minore il potere delegato agli altri. L'antidoto a quest'abuso di governo formale è dato dall'influsso che può essere esercitato dal carattere personale, dalla crescita, in noi, dell'Individuo; dal far ricomparire il vero protagonista al posto del sostituto; dalla presenza, infine, dell'uomo saggio, del quale ogni governo in carica - e ciò va fermamente ribadito - è solo una misera imitazione. Ciò che tutte le cose tendono a portare in luce, ciò che la libertà, la cultura, i rapporti sociali, le rivoluzioni mirano a formare e a delineare, è il carattere: è questo il fine della Natura: di arrivare a incoronare infine questo suo re. Lo Stato esiste per formar l'uomo saggio: e con l'entrata in scena dell'uomo saggio, lo Stato cessa di esistere. Il carattere rende lo Stato non più necessario. Il saggio è egli stesso lo Stato. Egli non ha bisogno né di eserciti, né di fortezze, né di una flotta; porta troppo amore agli altri; non allettamenti, non palazzi per tenere a sé legati gli amici; non privilegi, non favori particolari. Né ha egli necessità di biblioteche, perché non ha imbalsamato il pensiero, né ha bisogno di chiese, perché è egli stesso un profeta, né di codici, perché ha il suo legislatore; né di denaro, perché è lui il valore, né di strade, perché egli è a casa sua dovunque si trovi, né di esperienze, perché il creatore opera attraverso di lui, guarda dai suoi occhi. E non ha amici personali, perché chi ha fascino per attirare a se preghiere e devozioni da parte di tutti non ha neanche bisogno di costituire un ristretto gruppo che condivida con lui un elitario ideale di vita. Il suo rapporto con gli uomini è di tipo angelico: il suo ricordo è mirra per essi, e la sua presenza è purissimo incenso e fiori.
Noi riteniamo che la nostra civiltà sia vicina al suo apogeo; ma siamo invece appena al canto del gallo e alla stella del mattino. Nella nostra barbarica società 1 in fluenza esercitata dal carattere è ancora alla sua infanzia. Non si è ancora sospettata la sua presenza come potere politico, come quella, anzi, del legittimo signore che dovrà far rotolare tutti i governanti dalle loro poltrone. Malthus e Ricardo non ne parlano affatto; il Registro Annuale non ne fa cenno; nel Lessico della Conversazione non è segnalato; il Messaggio del Presidente il Discorso della Regina non l'hanno ancora menzionato e, tuttavia, non si tratta di un fantasma. Ogni pensiero che il genio e la pietà lanciano nel mondo trasforma in qualche modo il mondo. I gladiatori, nelle spire del po tere, avvertivano al di là dell'involucro della costrizione e della simulazione la presenza del vero valore. Io penso che anche la competitività nel commercio e nell'ambizione sia come una spia della presenza di questa divinità, e che i successi conseguiti in tali campi siano come una specie di ammenda, come una foglia di fico con cui l'anima imbarazzata cerca di celare la sua nudità. Trovo ovunque, del resto, un simile involontario tributo. Ed è proprio perché sappiamo ciò che da noi sarebbe dovuto che diventiamo anche così impazienti di rivelare un nostro pur minimo talento, quale che sia: quasi come un surrogato del più vero valore. Siamo ossessionati, si può dire, dalla consapevolezza di questo nostro diritto alla grandezza del carattere, e siamo pronti, per questo, a fare anche le carte false. Ciascuno di noi ha qualche talento, sa fare qualcosa di buono e di utile, di bello, di rispettabile, di divertente, di redditizio. E lo facciamo come scusandoci con gli altri e con noi stessi per il fatto che non riusciamo tuttavia a portarci al livello di un vivere buono e giusto. Ma ciò non ci soddisfa pienamente, pur mentre esibiamo quel nostro talento come un'indicazione per gli amici. La qual cosa potrà servire a gettare polvere nei loro occhi, ma non a spianare, certo, le nostre fronti e a darci la tranquillità dei forti quando usciamo tra la gente. Ne paghiamo lo scotto già mentre procediamo. Il nostro talento diventa sempre una sorta di espiazione, e noi siamo costretti a ripensare con una certa umiliazione al nostro momento più splendido, come a qualcosa di troppo bello e alto, e non come a un atto fra i tanti atti, lucida espressione di una nostra permanente energia. La maggior parte delle persone che contano s'incontrano tra loro in società con una specie di tacita dichiarazione. È come se ciascuno dicesse: «Non sono tutto qui». Senatori e presidenti si sono arrampicati così in alto, affannosamente, non perché ritengano che quel posto sia particolarmente piacevole, ma come per scusarsi di fronte al vero Valore e rivendicare, al nostro cospetto, le loro capacità. Quella ragguardevole poltrona è come un compenso per il loro essere di natura fredda e dura. Devono pur fare quel che possono. Simili a qualche famiglia di animali della foresta, essi non posseggono che una prensile coda; devono arrampicarsi o strisciare. Se un uomo si scoprisse così dotato da poter intrecciare i più stretti rapporti con le migliori persone e irradiare serenità intorno a sé con la piacevole dignità dei suoi comportamenti, potrebbe mai mettersi a sollecitare il favore dei giornali e dei comitati politici, e aspirare a relazioni così vuote e pompose come sono quelle, di solito, dei politici? Nessuno, certamente, vorrebbe essere un ciarlatano se può permettersi di essere un uomo sincero.
Le tendenze dei nostri tempi favoriscono l'idea dell'autogoverno e prevedono che, per quanto riguarda i codici, l'individuo sia piuttosto affidato a premi e penalità collegati con la sua propria costituzione: la quale opera con efficacia superiore a quel che pensiamo finché dipendiamo da imposizioni così artificiali. Nella storia moderna è rilevante la spinta in tale direzione. Molto è stato fatto in modo cieco e scriteriato, ma la natura della rivoluzione non è intaccata dai difetti dei rivoltosi: giacché si tratta qui di una forza puramente morale. Una forza che non è stata mai adottata da nessun partito nella storia, né potrà mai esserlo. Essa stacca anzi l'individuo da ogni partito e lo riconsegna, al tempo stesso, all'unità della specie. E promette un riconoscimento di diritti più alti della stessa libertà personale o della semplice sicurezza per la proprietà. Un uomo ha diritto a essere impiegato nelle sue risorse, stimato, amato e rispettato. Il potere dell'amore come base per uno Stato non èstato ancora sperimentato. Non dobbiamo pensare che tutto stia precipitando nella confusione se ogni buon protestante non sia più obbligato a sostenere la sua parte in certe convenzionalità sociali: non c'è dubbio che si costruiranno ancora strade, che la posta continuerà a essere recapitata, che si potrà godere del frutto del proprio lavoro anche quando non vi saranno più governi fondati sulla costrizione. Sarebbero i nostri attuali metodi così eccellenti da togliere speranza a ogni altro tentativo? Non potrebbe una nazione fatta di amici escogitare altre e migliori vie? D'altra parte, non abbiano nulla da temere, i più conservatori e più timorosi, da una tempestiva resa delle baionette e di tutto il sistema basato sulla costrizione. Giacché, a voler seguire l'ordine della natura, che è al di sopra delle nostre volontà, le cose stanno nel modo seguente: vi sarà sempre un governo di costrizione là dove l'uomo resta egotista; allorché gli uomini saranno abbastanza consapevoli da rigettare i codici della costrizione, saranno anche abbastanza saggi da considerare come si debbano affrontare queste pubbliche finalità quali le poste, le strade, i commerci e gli scambi di beni, musei, biblioteche, istituzioni d'arti e scienze.
Viviamo in una fase per nulla esaltante, e malvolentieri continuiamo a pagare il tributo a governi fondati sulla costrizione. Né vi è tra gli stessi uomini più religiosamente animati e più istruiti delle nazioni più religiose e più civili una così solida fiducia nel sentimento morale o una tale fede nell'unità delle cose che riescano a convincerli che la società potrebbe benissimo, come il sistema solare, essere governata senza artificiali imposizioni; o che qualsiasi cittadino possa essere un ragionevole e buon vicino senza che si debba fare accenno a prigioni e a confische di beni. È strano, inoltre, che non ci sia mai stata in un uomo una tale fede nella rettitudine da ispirargli un qualche più ampio progetto di rinnovamento dello Stato su un fondamento di giustizia e amore. Quanti hanno preteso di aver un tale progetto, si sono poi rivelati riformatori soltanto parziali e hanno finito con l'ammettere in un modo o nell'altro la supremazia del cattivo modello di Stato. Non mi viene in mente nessun uomo che abbia fermamente negato l'autorità delle leggi sulla semplice base della sua propria natura morale. Tali progetti, ricchi come sono di genio e di senso dell'umano destino, vengono considerati, esplicitamente, come nient'altro che castelli in aria. Se la persona che ne fa mostra osasse pensarli come realizzabili disgusterebbe scienziati e uomini di chiesa; e uomini di talento e donne di superiori sentimenti non potrebbero nascondere la loro disistima. E, tuttavia, la natura continua a riempire di suggerimenti e d'entusiasmo il cuore dei giovani, e vi sono ora degli uomini - se mi è consentito parlare al plurale -: o, più esattamente, dirò che ho da poco conversato con un uomo, al quale nessun peso di avverse esperienze farà, neanche per un momento, apparire impossibile che migliaia di esseri umani possano esercitare tra loro i sentimenti più nobili e più semplici, così come in una cerchia di amici o in una coppia di innamorati.



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NOTE


1) Merlino, il mago della tradizione arturiano-cavalleresca, e Napoleone, l'uomo «del mondo» e «della storia» (quale sarà poi rappresentato in Representative Men).
2) Nel mito greco, Anfione cinse Tebe di mura facendo ammucchiare le pietre da sole, al magico e armonioso suono della sua lira. Ma occorse poi l'intervento di Febo (Apollo) per dare ordine saldo e definitivo al tutto.
3) Le Muse passano così dalla «vecchia» Europa alla nuova «sede atlantica», nel Nuovo Mondo americano presentato da Emerson come Repubblica «virtuosa», in cui si realizzi la tradizione SteSSa classico-platonica.
4) Un «esempio» tratto dalla storia antica (Pisistrato fu tiranno di Atene nel VI secolo a.C.) e un altro tratto dalla storia più recente (Cromwell abolì la monarchia in Inghilterra e assunse il titolo, nel 1653, di Lord Protettore).
5) Labano, zio di Giacobbe (Genesi, 29,5). Giacobbe visse presso di lui, lo servì per molti anni e sposò le sue due figlie, Lia e Rachele.
6) Allorché affermarono la loro volontà autonomistica combattendo contro Rodolfo d'Asburgo (1291-1315).
7) Al tempo di Emerson, il vecchio Repubhcan Partt di Jefferson si era già diviso in Democratic Party (che aveva portato Andrew Jackson alla Presidenza: 1828-1836) e Whig Party, di carattere liberai-conservatore: cui succederà, nel 1854, il nuovo Repubhcan Partt.
8) Vasta baia presso Sidney, in Austalia, sede, allora, di una colonia penale.
9) Uomo politico, pubblicista e oratore del Massachusetts (1758-1808), sostenitore, contro il democraticismo di Jefferson, di una repubblica basata su una «aristocracy of talent».
10) Cioè il linciaggio. Il termine trasse probabilmente origine da Charles Lynch, un piantatore virginiano del Settecento.